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E QUELLO DEI BUGIARDI - IlGiornale.it

Travaglio (che non era presente) sostiene che nel corso del suo intervento Silvio Berlusconi abbia detto: «D’ora in poi il Giornale farà la politica della mia politica». In un suo rancoroso e meschino libello, Federico Orlando (che non era presente) sostiene invece che abbia detto: «O con me o con Montanelli». Balle. Balle sesquipedali. Ecco come andarono le cose: a un collega che gli chiedeva «Politicamente, come combatteremo noi contro queste grosse coalizioni (intendeva i tre o quattro maggiori quotidiani), con un giornale che chiude le sedi estere, con un giornale che fa i prepensionamenti, con un giornale in stato di crisi? Andremo alla guerra con un’arma spuntata?», Berlusconi rispose, come registrato dal verbale: «Io credo che se il Giornale darà segni di voler combattere questa battaglia, di volerla combattere con una tattica e una strategia adeguate alle posizioni degli altri, non mancheranno assolutamente i mezzi per un rafforzamento della linea del Giornale. Credo che dobbiate mettervi d’accordo su questo». Questa frase fu intesa in due modi o meglio, fu intesa in due modi l’espressione «questa battaglia». Chi l’interpretò come battaglia per far fronte alla concorrenza e chi come battaglia politica, la sua, sua di Berlusconi, da poco «sceso in campo». Vedendoci, in questo secondo caso, la volontà di piegare ai suoi interessi politici, ricattandola, la redazione. Il giorno appresso, domenica 9 gennaio, Montanelli era a cena da Berlusconi. Ne tornò deciso a dimettersi, cosa che fece subito. Prese quindi congedo dalla redazione annunciando il prossimo varo una «scialuppa di salvataggio» dove imbarcare quanti volevano seguirlo. Fatto ciò Montanelli si chiuse nel suo ufficio dove mi affrettai a raggiungerlo, trovandolo seduto al suo scrittoio, gli occhi chiusi, le mani aperte poggiate sulla Lettera 22. «È fatta», mi disse. «E adesso?». «Si ricomincia con La Voce», rispose, «ma tu resta: i ragazzi non devono rimanere abbandonati a se stessi e la barca va portata avanti. L’abbiamo varata noi. E poi so che per via di Federico (si riferiva a Federico Orlando) non ci verresti». «Come ti senti?», gli chiesi. «Come Mussolini al Gran Sasso». Intendeva dire d’aver timore di essere liberato da chi non desiderava fosse il suo salvatore. Timore fondato.

Noi, figli di un picnic, in Prato del Dio silvano - IlGiornale.it

chi bussava alla porta di Montanelli aveva già i requisiti per appartenere al Giornale. Col clima che c’era nel’73, anni di piombo ancorché Capanna li consideri «formidabili», professarsi eretici non era una cosetta da poco. Abbandonare solide testate, affermate carriere, stipendi garantiti per l’azzardo del Giornale, sapendo di mettersi contro l’intellighenzia, tutta la nomenklatura, di attirarsi i fulmini dei comunisti, dei compagni di strada dei comunisti, dei salotti radical chic, della borghesia pavida che si era gettata a sinistra, di essere definiti «sporco reazionario» e «fascista» dal gregge che belava al comando di Botteghe Oscure, non era propriamente uno scherzo.